I nuovi Portafogli Modello Quantalys: Parte 1

Pubblicato il 10/11/2020 - Emanuele Maria Carluccio e Ugo Pomante
Questo scorcio finale del 2020 porta con sé un’importante novità nel mondo Quantalys: l’introduzione dei nuovi portafogli modello

 

 

A fronte del radicale cambiamento del quadro macroeconomico - della crisi pandemica in primis - si è reso necessario rivedere le stime degli input (rendimenti attesi, rischi e correlazioni) di lungo termine alla base delle ottimizzazioni matematiche, arrivando, così, alla creazione delle nuove asset allocation strategiche.

Pur a fronte di alcune importanti novità (di seguito descritte), il modello utilizzato per la creazione dei portafogli non è cambiato:

  • le stime di rendimento atteso sono state ottenute tramite il modello a la Black-Litterman;
  • le volatilità e le correlazioni sono estrapolate da serie storiche di rendimenti pluriennali;
  • il modello finale di ottimizzazione è basato sull’inserimento di vincoli aggiuntivi (rispetto alla tradizionale ottimizzazione media-varianza a la  Markowitz), che si rendono necessari per assicurare che i portafogli finali siano ragionevoli, ben diversificati e rispettosi della market neutrality (del peso mondiale dei mercati).

Negli ultimi anni, non vi sono state novità scientifiche tali da suggerire un cambiamento nell’impianto metodologico di costruzione delle asset allocation strategiche; pertanto, l’uso congiunto di tecniche bayesiane ed euristiche era e resta, per noi, la soluzione operativa migliore.

Confidando sulla bontà delle scelte compiute in passato, le nuove frontiere ereditano dal passato altre proprietà:

  • il numero dei portafogli modello continua ad essere pari a 20;
  • le asset class che compongono i portafogli modello (pur con una importante novità a cui faremo cenno qui di seguito) sono sostanzialmente le medesime utilizzate nella vecchia frontiera;
  • il range di rischio coperto dai nuovi portafogli modello ha la stessa ampiezza dei vecchi portafogli, così da soddisfare le esigenze di clienti caratterizzati da diversi livelli di tolleranza al rischio.

Pur muovendosi nel solco della continuità, i nuovi portafogli modello introducono un’importante novità rispetto al passato: le frontiere Quantalys si sdoppiano. D’ora in poi, infatti, sarà possibile selezionare:

  • la frontiera senza asset class flessibili (composta da sole asset class direzionali, rappresentative di singole porzioni del mercato mondiale);
  • la frontiera con asset class flessibili (composta, oltre che dalle asset class direzionali, anche da due asset class rappresentative del mondo dei fondi flessibili, suddivisi, a loro volta, in funzione del relativo grado di volatilità).

Alla luce di questa discontinuità con il passato, si rende necessario dare una giustificazione alla scelta di creare due set di portafogli distinti: una per gli amanti delle soluzioni flessibili; l’altra per chi ne fa a meno.

A tale scopo riprendiamo alcune considerazioni fatte in un recente lavoro dedicato proprio al tema dei prodotti flessibili(1). L’analisi della famiglia dei fondi flessibili ci pone di fronte ad una grande quantità di prodotti fortemente eterogenea; la definizione di fondo flessibile, infatti, è così estesa da ricomprendere soluzioni di investimento molto diverse tra loro. Tali prodotti condividono le peculiarità di non essere soggetti né a vincoli in termini di titoli nei quali investire, né di un benchmark da dichiarare che funga da proxy della loro composizione. Da ciò conseguono alcune peculiarità che permettono di delimitarne, almeno parzialmente, i vasti contorni:

  • investono in una pluralità di mercati o, in altri termini, assumono contemporaneamente più fattori di rischio tra loro eterogenei;
  • modificano frequentemente la loro composizione in risk factor/prodotti/asset class.

Tale modus operandi fa di questi prodotti una soluzione di investimento assai “intrigante”, perché essi, grazie al loro ampissimo spazio di operatività, sono potenzialmente in grado di performare positivamente in ogni condizione di mercato. La loro strategia flessibile, infatti, permette di cambiare tatticamente i fattori di rischio a cui il fondo è esposto, combinando risky assets e safe assets a seconda delle fasi orso/toro di mercato. Ed è proprio l’“essere buoni fondi per tutte le stagionia spiegare, in larga parte, il successo di questa categoria di prodotti: la promessa di una strategia di investimento in grado di gestire tatticamente/dinamicamente le fasi congiunturali dei mercati diventa, soprattutto in fasi di elevata incertezza, un richiamo irresistibile. Oggi oltre il 25% dei fondi distribuiti in Italia e il 13% delle masse gestite è rappresentato da fondi che Assogestioni classifica come flessibili.

Data la dimensione assunta dal fenomeno dei fondi flessibili, lo sviluppo di efficaci modelli in grado di selezionare tali prodotti e contemporaneamente preservare le regole auree alla base della costruzione del portafoglio, diventa una condicio sine qua non.

Un aspetto centrale è quello del peso da attribuire a tali prodotti nell’ambito del portafoglio. Se non è possibile individuare un peso “ideale”, non si può tuttavia tacere sul fatto che il pericolo latente è quello di riporre in questa categoria di prodotti una fiducia eccessiva, attribuendo agli stessi un peso elevato. Quando ciò avviene, ci si espone ad una serie di problemi qui di seguito elencati:

  1. quando i prodotti flessibili assumono una posizione dominante, diventa impossibile quantificare il peso assunto dalle asset class nel lungo termine e, conseguentemente, il portafoglio non è più guidato da un’asset allocation strategica;
  2. l’investitore che concentra il portafoglio sui prodotti flessibili assume implicitamente una fiducia “cieca” nei confronti nell’asset allocation tattica;
  3. in un portafoglio “dominato” dalla componente flessibile, l’asset allocation tattica periodicamente implementata è ignota, essendo una combinazione delle scelte di market timing effettuate dai gestori selezionati;
  4. l’uso eccessivo dei prodotti flessibili (come quelli bilanciati) determina una crescita sensibile delle commissioni di gestione medie.

Il ricorso eccessivo a questi prodotti comporta, quindi, una serie di esternalità potenzialmente negative che ne giustificano un uso controllato ed un loro “confinamento” nella sola componente satellite del portafoglio. L’esperienza, la sensibilità finanziaria ed il buon senso suggeriscono, infatti, che il peso della componente flessibile debba variare, in funzione della soggettiva propensione per questi prodotti e più in generale per il market timing, in un range [0%; 20%].

Detto, quindi, che la fiducia nel market timing e nella capacità di selezione dei migliori gestori flessibili, non sono condizioni sufficienti per rinunciare ai vantaggi di un modello di costruzione del portafoglio basato sulla coesistenza tra asset allocation strategica ed asset allocation tattica, subentra l’esigenza di verificare quale sia il criterio più adatto per introdurre in modo disciplinato i fondi flessibili all’interno di un portafoglio guidato da un’asset allocation strategica. Il quesito centrale da porsi è se selezionare, o meno, ai fini della costruzione dell’asset allocation, specifiche asset class dedicate ai prodotti flessibili.

Riteniamo che sia decisamente preferibile optare per l’inserimento di asset class ad hoc per i prodotti flessibili, le quali fungeranno, come detto, da componente satellite del portafoglio. La necessità di gestire al meglio la variabile rischio suggerisce, poi, di creare due asset class distinte: una riservata ai fondi flessibili prudenti ed una a quelli più volatili. Relativamente alla scelta degli indici da utilizzare ai fini della rappresentazione dei comparti flessibili, è consigliabile utilizzare indici costruiti come panieri di fondi flessibili, piuttosto che indici compositi costruiti come combinazione statica di benchmark azionari ed obbligazionari.

Questa soluzione presenta molti pregi:

  • permette di disciplinare l’utilizzo di tali prodotti, limitandone la presenza in portafoglio al solo peso attribuito alle asset class flessibili;
  • facilita sensibilmente il processo di ricomposizione del portafoglio, in quanto una modifica della composizione di un prodotto flessibile non produce effetti sull’asset allocation implicita del portafoglio;
  • la presenza di prodotti flessibili non ostacola l’implementazione di un processo di overlay tattico che può essere facilmente sviluppato sulla componente core di portafoglio composta da fondi direzionali o mono-asset.

In conclusione, non spetta a noi stabilire aprioristicamente se un consulente agli investimenti debba inserire o meno prodotti flessibili in portafoglio. Questa è una scelta rimessa alla sensibilità ed alle aspettative dei singoli attori. Ma ben consci del fatto che nell’industria del risparmio gestito esistono opinioni molto divergenti circa la bontà/utilità di questa tipologia di prodotti, abbiamo ritenuto utile creare delle soluzioni che possano supportare sia il consulente amante dei fonti flessibili sia quello che ritiene di poterne fare a meno. Il tutto in un contesto di uso disciplinato dei prodotti flessibili, con la scelta di Quantalys di attribuire alle asset class flessibili un peso mai dominante.

Nel prossimo articolo vi presenteremo le nuove ipotesi di rendimento e rischio delle asset class.

 

 

 

(1) Per chi fosse interessato ad approfondire questi temi si rinvia a “FONDI FLESSIBILI: THE BEAUTY OR THE BEAST?” di Emanuele Carluccio e Ugo Pomante, in STUDI IN ONORE DI ANTONIO DELL’ATTI, Giuffrè, 2020. 

 

 
Da Emanuele Maria Carluccio e Ugo Pomante Membri del comitato Scientifico di Quantalys .