Il punto di novembre sui mercati dopo le presidenziali americane
Pubblicato il 28/11/2024 - Marco Chinaia
Le elezioni presidenziali americane non sono solo un evento politico importante, ma hanno anche un impatto sostanziale sui mercati. Il ciclo presidenziale degli Stati Uniti può essere diviso in quattro fasi: anno post-elettorale, anno di metà mandato, anno pre-elettorale e anno elettorale. Storicamente gli ultimi due sono stati quelli di maggior successo per i mercati azionari americani. Guerre, recessioni e mercati ribassisti tendono invece ad iniziare o a manifestarsi durante la prima metà del mandato (come nel caso della guerra Russia Ucraina e della correzione ribassista del 2022), mentre i periodi di prosperità e di mercati rialzisti sono più probabili nella seconda metà degli anni pre-elettorali ed elettorali (come nel caso del 2023 e del 2024).
Cosa si aspettavano i mercati da queste elezioni?
I mercati nel corso del 2024 si sono concentrati più sull’andamento delle trimestrali e sulle azioni di politica monetaria delle banche centrali, piuttosto che sull’epilogo delle elezioni americane, scommettendo quasi da subito su una vittoria Repubblicana, dopo l’addio alla corsa alla presidenza di Joe Biden a luglio 2024. A poche settimane dall’election day i mercati hanno iniziato ad interrogarsi sul programma elettorale di Trump e su quanto successo dopo l’ultima vittoria nel 2016, in cui Trump prevalse sulla candidata democratica Hilary Clinton, facendo delle possibili previsioni secondo cui, in caso di vittoria, le azioni sarebbero favorite rispetto alle obbligazioni e gli Stati Uniti rispetto all’Europa e ai mercati emergenti. All’interno di questi, l’India sarebbe preferita alla Cina, soprattutto in caso di introduzione di dazi. In Nord America, il Canada sarebbe favorito rispetto al Messico a causa delle potenziali tensioni sulla politica di immigrazione. I titoli value, le small cap e i segmenti di mercato ad alto beta dovrebbero apprezzarsi. Tra i settori che beneficeranno dei piani di Trump vi potranno essere i finanziari con la deregolamentazione bancaria, le società energetiche tradizionali basate sul carbonio, l'informatica a piccola e media capitalizzazione e i beni di consumo discrezionali, con il dollaro destinato ad apprezzarsi.
Cos’abbiamo osservato sui mercati a poco più di due settimane dalle elezioni?
Dal punto di vista politico la vittoria di Donal Trump e dei Repubblicani è stata schiacciante, definita dallo stesso: “La più grande vittoria di sempre”. Trump ha vinto a larga maggioranza, non solo nel Collegio Elettorale, ma anche nel voto popolare, riconquistando la maggioranza in entrambe le camere del Congresso, con una drastica inversione di tendenza rispetto al 2020, quando Biden vinse per 7 milioni di voti su Trump. Si è trattato chiaramente di un voto di protesta contro Biden e l'amministrazione democratica degli ultimi anni, probabilmente a causa del picco inflazionistico che ha eroso il potere d'acquisto, soprattutto tra i tipici elettori democratici.
Cos’è successo sui mercati: l’indice S&P 500 è salito del 9,0%, segnando il migliore post-election day nella storia. Nonostante il timido ritracciamento, dopo le nomine al Congresso è riuscito a toccare nuovi massimi storici, trascinato dai cosiddetti “Trump Trade”. Immediata conseguenza anche sugli indici globali, dove il peso dell’equity americano è dominante, con l’indice MSCI World che ha registrato una performance del 7,6% (+27,3% da inizio anno). A far segnare le migliori performance sono state le banche e il settore finanziario (+6%), trainati dalle aspettative di aumento dei tassi sulla parte a lunga della curva e dalle aspettative di deregulation del settore, che dovrebbero migliorarne la profittabilità. Bene anche gli industriali (+3,8%), gli energetici (+3,6%) e i consumi discrezionali (+3,5%). Molto positive anche le small cap, comparto tendenzialmente più ciclico rispetto alle aziende a grande capitalizzazione e maggiormente favorito da una possibile accelerazione economica.
Al tempo stesso, i tassi statunitensi si sono mossi fortemente al rialzo, con il tasso decennale salito di ben 16 punti base in un singolo giorno, superando il 4,4%, il livello più alto da inizio luglio e in rialzo di ben 80 punti base dai minimi di metà settembre. Nonostante questo, l’indice ICE BofA US Broad Market si trova in territorio positivo a +4,4% sul periodo.
Tra i “Trump Trade” non è possibile non citare Bitcoin, che già nella settimana precedente le elezioni aveva iniziato la sua tendenza al rialzo, favorito dalle dichiarazioni di Trump che prevedevano una creazione di una riserva federale in bitcoin e una posizione di attenzione verso i governi e le banche centrali che proponevano una regolamentazione sulle criptovalute, dato che tra i punti fondanti del programma repubblicano è prevista la deregolamentazione. Questi fattori hanno liberato la forza della domanda di Bitcoin, che ha spinto le quotazioni della criptovaluta a sfiorare i 100.000 dollari americani e che dopo alcune prese di profitto si trova attualmente a +36,3% dal 5 novembre 2024.
Diametralmente opposto il quadro per il mercato europeo. Gli indici MSCI Europe (-0,1%) ed Euro Stoxx 50 (-0,9%), dopo una discesa durante la settimana delle elezioni e quella successiva, guidata da energetici e finanziari si trovano a perdite quasi riassorbite, con un Euro Stoxx 50 maggiormente indietro per colpa dell’indebolimento valutario e della maggiore presenza di finanziari. Anche lato obbligazionario, il comportamento dei tassi è stato opposto rispetto a quello visto negli Stati Uniti: il decennale tedesco è sceso sotto area 2,20%, mentre quello italiano, dopo essere salito di 2 punti base (in area 3,80%) è sceso verso area 3,40%. Gli investitori europei sembrano scontare uno scenario di crescita ancora più difficile a causa dell’impatto dei possibili dazi sulle esportazioni europee e, di conseguenza, una Bce ancora più accomodante a contrasto di questa prospettiva.
I mercati emergenti hanno reagito in maniera asincrona. L’indice diversificato MSCI emerging markets, dopo una leggera flessione è tornato sopra la parità (+0,5%) in attesa di capire quali saranno le mosse in tema di politiche commerciali. A livello di singolo Paese il migliore mercato resta senza dubbio quello indiano, con l’indice MSCI India che è salito del +4,3%, mentre tra i peggiori troviamo quello cinese, quello maggiormente attenzionato dall’ottica protezionistica repubblicana, dalla posizione aggressiva sui dazi ultimo, ma non meno importante, riguardante il caso Taiwan. L’MSCI China ha registrato una perdita del -3,6%. L’impatto di una seconda presidenza di Donald Trump sui mercati emergenti sarà probabilmente determinato dalle politiche commerciali, come detto, la possibile introduzione di dazi e tariffe potrebbero comportare un aumento dei costi per gli esportatori dei mercati emergenti che dipendono dalla domanda statunitense, Cina e Messico su tutti. D’altro canto, altri esportatori dei mercati emergenti potrebbero invece trarre vantaggio dalla delocalizzazione delle catene di approvvigionamento in aree come il Sud-est asiatico e l’America Latina. L’altro fattore sarà sicuramente l’andamento del dollaro. Un dollaro più forte è tipicamente un vento contrario per gli emergenti. Da ultimo, l’aspetto di casa per i mercati emergenti riguarda la stabilità geopolitica. Le nuove tensioni potrebbero creare incertezza nei mercati emergenti, soprattutto in Asia, con un impatto sulla fiducia degli investitori.
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