Capital Group: Capire i dazi in cinque grafici

Pubblicato il 17/03/2025 - Capital International Management Company SARL

SETTORE COMMERCIALE

Molti di noi hanno sentito per la prima volta il termine "dazi" durante le lezioni di storia, in particolare in relazione alla Grande Depressione e al lato oscuro della politica commerciale protezionistica.

Oggi i dazi sono tornati al centro della scena, fungendo da perno della politica commerciale del Presidente Trump. È emerso un acceso dibattito sull'impatto che potrebbero avere sull'economia globale nonché sulla volatilità del mercato, decretandone un forte aumento.

I critici sostengono che questi dazi segnano l'inizio di una nuova guerra commerciale che alla fine danneggerà tutti i Paesi. Secondo i sostenitori, invece, si tratta di un tentativo da parte degli Stati Uniti di ridurre i deficit commerciali a lungo termine e costringere altri Paesi a diminuire le loro misure protezionistiche. In entrambi i casi, la riconfigurazione del commercio globale riflette un più ampio cambiamento nell'ordine geopolitico mondiale che, a nostro avviso, è solo all'inizio.

Per capire meglio la situazione, abbiamo sviluppato questa guida ai dazi e alle loro potenziali implicazioni per l'economia, i mercati e gli investitori.

1. Cosa sono i dazi e come vengono utilizzati?

I dazi sono essenzialmente tasse sui beni importati da altri Paesi. Vengono utilizzati, tra l'altro, per proteggere i produttori nazionali dalla concorrenza estera.

Utilizziamo una rappresentazione a quattro quadranti per comprendere le motivazioni dei dazi e cosa potrebbero comportare per gli investimenti. Sono quattro i fattori principali che ne determineranno lo sviluppo, ossia disaccoppiamento, riequilibrio, negoziazione e finanziamento. Ad esempio, è improbabile che i dazi utilizzati a fini negoziali persistano per lunghi periodi di tempo, mentre quelli che fanno parte di un più ampio processo di disaccoppiamento potrebbero rimanere a lungo.

Un grafico a quattro quadranti descrive le motivazioni e le implicazioni dei recenti dazi statunitensi. Il quadrante in alto a sinistra è intitolato disaccoppiamento, che potrebbe spostare le catene di approvvigionamento e ridurre la dipendenza da determinati Paesi. Per ogni motivazione sono elencati i potenziali impatti su regioni e settori. Si prevede che questo scenario avrà un impatto elevato e persistente. Il Paese potenzialmente interessato è la Cina. Tra i settori potenzialmente interessati figurano tecnologia, energia, materiali industriali, farmaceutica, biotecnologia e aeronautica. Il quadrante in alto a destra è intitolato ribilanciamento, che potrebbe ridurre i deficit commerciali e incrementare la produzione interna. Si prevede che questo scenario avrà un impatto medio, persistente, misto. I Paesi potenzialmente interessati includono Cina, UE, Giappone, Corea del Sud, Vietnam, India, Messico, Canada e Brasile. Tra i settori potenzialmente interessati figurano auto, acciaio, alluminio, agricoltura, alimenti, prodotti chimici, elettronica di consumo, farmaceutica, beni di lusso, difesa, energia e petrolio. Il quadrante in basso a sinistra è intitotlato negoziazione, che potrebbe creare una leva attraverso la pressione economica per ottenere risultati politici. Si prevede che questo scenario avrà un impatto basso e temporaneo. I Paesi potenzilamente interessati includono Cina, Messico, Canada, UE, Giappone e America Latina. Tra i settori potenzialmente interessati figurano auto, acciaio, agricoltura, elettronica di consumo, macchinari edili, minerali, difesa, energia e apparecchiature a semiconduttori. Il quadrante in basso a destra è intittolato finanziamento, che potrebbe generare entrate per finanziare le priorità di bilancio nazionali. Si prevede che questo scenario avrà un impatto elevato e persistente e potrebbe portare a un dazio universale applicato su larga scala. Tra i settori potenzialmente interessati figurano beni di consumo, auto e industriali nonché effetti sui prezzi e pressione sui margini in tutti i settori.

Fonti: Capital Group, American Compass. Dati al 5 marzo 2025.

Il nostro scenario di base prevede che gli Stati Uniti riescano a far fronte ai cambiamenti delle politiche commerciali, anche se dazi più elevati potrebbero frenare l'attività economica e aumentare i prezzi delle importazioni. Gli Stati Uniti sono in posizione avvantaggiata in termini di dimensioni, resilienza economica e consumatori con denaro da spendere. Inoltre, le imprese hanno aumentato gli investimenti negli Stati Uniti, sia a livello nazionale che internazionale, data la volontà di mantenere accesso alla più grande economia del mondo.

Tuttavia, l'ambiguità causata dal cambiamento delle politiche commerciali sta già incidendo sulla fiducia delle imprese e dei consumatori, con potenziali conseguenze negative per l'economia e i mercati statunitensi.

Le ricadute per gli altri Paesi rimangono incerte, in particolare per quelli che dipendono fortemente dagli Stati Uniti per il commercio, come il Messico e il Canada, dove le esportazioni verso gli Stati Uniti rappresentano circa il 20-25% del PIL. Per la maggior parte delle economie europee, le esportazioni verso gli USA rappresentano circa il 2-3% del PIL. Se gli Stati Uniti imporranno dazi, con conseguente riduzione delle esportazioni e della crescita economica per questi Paesi, ne deriverà probabilmente una politica macroeconomica più accomodante per contrastare gli effetti negativi. Alcuni governi stanno rispondendo in modo deciso. La Germania, ad esempio, ha allentato drasticamente la sua politica fiscale e ha elaborato piani per aumentare la spesa per le infrastrutture e la difesa, in parte per ridurre la dipendenza dalle esportazioni per la crescita.

2. Perché il deficit commerciale degli Stati Uniti è così elevato?

Un dato estremamente importante per i dazi è il deficit commerciale dei beni statunitense, che ha raggiunto quota 1.100 miliardi di USD nel 2024, poiché gli americani hanno acquistato prodotti importati e la forza del dollaro ha pesato sulle esportazioni. Ogni anno dagli anni Settanta gli Stati Uniti hanno evidenziato un deficit commerciale.

Il deficit commerciale degli Stati Uniti ha raggiunto livelli quasi record nel 2024

Un grafico a forma di montagna mostra il deficit commerciale dei beni statunitense in dollari dal 1974 al 30 settembre 2024, con i contributi al commercio dei principali partner commerciali degli Stati Uniti nel 2024 in una colonna a destra. Il deficit commerciale dei beni è aumentato costantemente, passando dai 273 milioni di dollari del 1974 agli 865 miliardi del 2008. È sceso brevemente in seguito fino a raggiungere i 713,8 miliardi nel 2013, prima di aumentare costantemente fino al livello più recente del 2024 pari a 1.100 miliardi. Nel 2024 il contributo della Cina al deficit commerciale è stato di circa 285 miliardi di dollari, seguito da Unione Europea con 226 miliardi, Messico con 174 miliardi, tutti gli altri con 137 miliardi, Vietnam con 118 miliardi, Canada con 73 miliardi, Giappone con 70 miliardi e Corea del Sud con 63 miliardi.

Fonti: Capital Group, Bureau of Economic Analysis. I dati indicano i totali di 12 mesi fino a settembre di ogni anno. Dati al 30 settembre 2024.

Gli economisti osservano che l'elevato deficit commerciale può essere un segnale della forza economica degli Stati Uniti, a indicare che i consumatori stanno acquistando, ma il dato è comunque il motivo per cui i dazi sono centrali nell'agenda economica di Trump. Altri Paesi fanno molto più affidamento sul commercio globale rispetto agli Stati Uniti e l'amministrazione mira a sfruttare la posizione economica dell'America come strumento per ottenere un rapporto più equilibrato con i suoi partner commerciali.

Tuttavia, gli Stati Uniti presentano il più grande deficit delle partite correnti al mondo, che è la controparte di enormi afflussi di capitali stranieri nel Paese. Se gli Stati Uniti ridurranno il loro deficit, ciò potrebbe comportare minori afflussi di capitali e un dollaro più debole.

L'uso da parte di Trump di ordini di emergenza per implementare o rimuovere i dazi ha innervosito i mercati. Le amministrazioni precedenti hanno utilizzato i dazi in varia misura, ma in base a leggi che richiedevano un'analisi dettagliata, il che concedeva più tempo alle aziende e alle parti interessate per rispondere. Qualunque sia il metodo, i dazi possono rappresentare un perno per una politica tendente all'isolazionismo che potrebbe avere ramificazioni a lungo termine per i portafogli di investimento.

3. I dazi causano inflazione?

La risposta breve è sì, ma il modo in cui si manifesta è molto più complesso.

Nel caso di un dazio una tantum, i prezzi aumenterebbero probabilmente poco, ma poi si stabilizzerebbero nel tempo. Uno sviluppo più preoccupante è uno scenario di guerra commerciale, in cui i dazi aumentano di anno in anno. Ciò, a sua volta, potrebbe portare a un aumento dell'inflazione a lungo termine con un effetto a catena di aumento dei tassi di interesse.

Gli economisti concordano sul fatto che il costo dei dazi è in gran parte pagato dai consumatori e da aziende disposte ad accettare margini di profitto inferiori per vendere i prodotti. Una stima comunemente condivisa è che il 30-50% del costo viene trasferito ai consumatori, anche se la percentuale può essere più elevata per i prodotti con meno sostituti. Ricerche recenti hanno dimostrato che i dazi del 2018-2019 sono stati per lo più trasferiti ai consumatori statunitensi.

La decisione di Trump di imporre dazi sulle lavatrici importate, ma non sulle asciugatrici, nel gennaio 2018, è un caso di studio spesso citato dagli economisti della University of Chicago e della Federal Reserve. Lo studio ha rilevato che i produttori nazionali statunitensi hanno aumentato i prezzi per eguagliare i concorrenti, nonostante non fossero soggetti a dazi. Inoltre, anche i prezzi delle asciugatrici sono aumentati, poiché i produttori hanno probabilmente utilizzato i dazi per aumentare i prezzi in modo mirato o dividere gli aumenti tra lavatrici e asciugatrici.

I prezzi degli elettrodomestici sono aumentati per poi stabilizzarsi sotto i dazi Trump 1.0

Il grafico riflette il tasso di inflazione degli elettrodomestici per i consumatori e l'indice dei prezzi alla produzione dei dettaglianti da gennaio 2017 a gennaio 2019. Evidenzia un contrasto più netto nelle variazioni dei prezzi. Da gennaio 2017 a dicembre 2018, i prezzi al dettaglio sono aumentati del 13%, rispetto a un aumento dei prezzi al consumo del 6%. L'anno successivo, nell'ottobre 2019, i prezzi sono aumentati del 16% per i dettaglianti e solo dell'1% per i consumatori.

Fonti: Capital Group, Bureau of Labor Statistics, Peterson Institute for International Economics. La variazione dei prezzi al dettaglio è rappresentata dall'indice dei prezzi al dettaglio (IPD) per la sottocategoria dei grandi elettrodomestici. L'indice dei prezzi alla produzione misura la variazione media nel tempo dei prezzi di vendita ricevuti dai produttori nazionali per la loro produzione. La variazione dei prezzi al consumo è rappresentata dall'indice dei prezzi al consumo per la sottocategoria dei grandi elettrodomestici.  Dati al 15 dicembre 2019.

Anche il valore del dollaro USA è cambiato in reazione alle notizie sui dazi. Dazi più elevati generalmente portano a un rafforzamento del dollaro poiché riducono la domanda di importazioni valutate in valuta estera. Al contrario, limitare i dazi abbassa il valore del dollaro poiché aumenta la domanda di valuta estera. Un dollaro forte potrebbe aiutare a compensare alcuni costi legati ai dazi per i consumatori, in modo simile a come i turisti statunitensi beneficiano di un dollaro forte quando viaggiano all'estero.

4. Cos'è la reciprocità commerciale e come si svilupperà?

A prima vista, il concetto di reciprocità commerciale è semplice: A impone a B gli stessi dazi che B impone ad A.

L'amministrazione Trump mira a riequilibrare i dazi tra gli Stati Uniti e gli altri Paesi per renderli reciproci. Tale mossa contraddice 75 anni di politica commerciale multilaterale degli Stati Uniti e aggira le regole dell'Organizzazione mondiale del commercio, successore dell'Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT) del 1947.

Questo cambiamento di strategia è dovuto al fatto che l'attuale amministrazione statunitense ritiene che l'equilibrio sia stato compromesso in quanto le principali industrie americane devono affrontare forti barriere alla vendita dei loro prodotti all'estero. Si pensi, ad esempio, alle auto. Le vendite di auto tra gli Stati Uniti e l'Unione Europea favoriscono quest'ultima. L'UE attualmente impone un dazio del 10% sulle auto statunitensi vendute nei propri mercati rispetto al 2,5% imposto dagli Stati Uniti sulle auto europee importate.

Non è chiaro se la definizione di reciprocità di Trump includa le aliquote dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) applicate da molti Paesi sugli acquisti nazionali. Queste sono generalmente applicate in ogni fase della produzione, a differenza dell'imposta sulle vendite statunitense che viene applicata alla vendita finale. Molti economisti sostengono che le aliquote IVA non sono imposte sulle importazioni, quindi non sono equivalenti ai dazi. Nel caso dell'UE, se si tiene conto dell'IVA, si arriva a un dazio effettivo più elevato, pari a circa il 25%.

Le barriere commerciali sono disomogenee tra gli Stati Uniti e la maggior parte delle economie

La tabella mostra il confronto delle aliquote dei dazi tra i Paesi importatori negli Stati Uniti. Per la Cina, l'aliquota media statunitense sui suoi beni era del 20%, mentre quella cinese sui beni statunitensi era del 7,5%, con un divario del 12,5%, e l'IVA variava dal 6% al 13%. Per la Germania, l'aliquota media statunitense sui suoi beni era del 3,3%, mentre quella tedesca sui beni statunitensi era del 5,0%, con un divario dell'1,7%, e l'IVA era del 19%. Per il Giappone, l'aliquota media statunitense sui suoi beni era del 3,3%, mentre quella giapponese sui beni statunitensi era del 3,7%, con un divario dello 0,4%, e l'IVA era del 10%. Per il Vietnam, l'aliquota media statunitense sui suoi beni era del 3,3%, mentre quella vietnamita sui beni statunitensi era del 9,4%, con un divario del 6,1%, e l'IVA era del 10%. Per Taiwan, l'aliquota media statunitense sui suoi beni era del 3,3%, mentre quella taiwanese sui beni statunitensi era del 6,5%, con un divario del 3,2%, e l'IVA era del 5%. Per l'Irlanda, l'aliquota media statunitense sui suoi beni era del 3,3%, mentre quella irlandese sui beni statunitensi era del 5,0%, con un divario dell'1,7%, e l'IVA era del 23%. Per l'india, l'aliquota media statunitense sui suoi beni era del 3,3%, mentre quella indiana sui beni statunitensi era del 17%, con un divario del 13,7%, e l'IVA variava dal 5% al 28%.

Fonti: Capital Group, PWC, Census Bureau, Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Le aliquote medie riflettono l'aliquota media applicata alla nazione più favorita (Most Favoured Nation, MFN) sulla base dei dati del 2023 dell'OMC, salvo dove indicato di seguito. Canada, Messico e Corea del Sud hanno accordi di libero scambio con gli Stati Uniti, quindi sono esclusi da questo elenco. L'aliquota media dei dazi della Cina sui beni statunitensi non include i dazi di ritorsione. IVA si riferisce all'imposta sul valore aggiunto. 1Imposta sui consumi. 2Imposta su beni e servizi (GST) Le barre che si estendono a destra nella colonna "divario tra dazi" indicano i divari più vantaggiosi per gli Stati Uniti; le barre che si estendono a sinistra indicano il contrario. Solo il divario con la Cina ha favorito gli Stati Uniti. Dati al 5 marzo 2025.

Data la natura bilaterale di questi negoziati commerciali, i dettagli contano. I dazi sui principali partner commerciali come Cina, UE, Canada e Messico possono ridurre i deficit commerciali degli Stati Uniti e incrementare la produzione interna, dando alle aziende locali un vantaggio sulle importazioni.

Potrebbero anche invitare a una ritorsione, come la rimozione degli alcolici statunitensi dagli scaffali canadesi. La Cina potrebbe vietare le esportazioni di minerali critici verso gli Stati Uniti, diminuire gli acquisti di aerei e prodotti agricoli e aumentare le indagini sulle aziende con sede negli Stati Uniti esposte alla Cina, tra cui Apple, Starbucks e Tesla.

5. Che impatto hanno avuto i dazi durante la prima amministrazione Trump?

Gli investitori potrebbero provare una forte sensazione di déjà vu in merito ai dazi. La prima amministrazione Trump perseguiva un obiettivo simile di riduzione del deficit commerciale imponendo dazi alla Cina. Questa mossa ha scatenato una guerra commerciale che ha scosso i mercati e dominato le notizie, proprio come adesso.

I dazi hanno dominato la scena durante il primo mandato di Trump

Il grafico mostra il valore di un investimento iniziale di 1.000 dollari nell'indice S&P 500 dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2019. L'importo è salito a 1.257 dollari. Mostra anche l'indice dei prezzi al consumo annuale sul lato destro, che è aumentato dal 2,15% del 31 gennaio 2018 al 2,85% di luglio 2018, prima di scendere al 2,15% di novembre 2018. Si è poi mantenuto a quel livello prima di terminare a dicembre 2019 al 2,32%. Il grafico elenca anche le notizie o gli eventi di quel periodo. Tra questi figurano il 22 gennaio 2018, quando Trump ha imposto dazi sui pannelli solari e sulle lavatrici; il 23 marzo 2018, quando sono entrati in vigore dazi generalizzati su acciaio e alluminio; il 1° giugno 2018, quando gli Stati Uniti hanno posto fine alle esenzioni dai dazi per UE, Canada e Messico; dal 22 giugno al 1° luglio 2018, quando UE e Canada hanno reagito; il 6 luglio 2018, che ha segnato la prima fase dei dazi Cina/USA; il 24 luglio 2018, quando sono entrati in vigore i sussidi per gli agricoltori americani; il 23 agosto 2018, quando è stata introdotta la seconda fase dei dazi Cina/USA; il 24 settembre 2018, quando è iniziata la terza fase dei dazi Cina/USA; il 1° dicembre 2018, quando è stata dichiarata la tregua dei dazi USA-Cina; il 24 febbraio 2019, quando l'aumento dei dazi è stato rinviato; il 10 maggio 2018, quando gli Stati Uniti hanno aumentato l'aliquota dei dazi sulla Cina rispetto all'elenco precedente; il 17 maggio 2019, quando gli Stati Uniti hanno revocato i dazi su Canada e Messico; il 30 maggio 2019, quando gli Stati Uniti hanno applicato dazi sul Messico per scoraggiare i migranti; il 1° giugno 2019, quando la Cina ha aumentato i dazi di ritorsione; il 7 giugno 2019, quando i dazi sul Messico sono stati revocati; il 1° agosto 2019, quando gli Stati Uniti hanno annunciato dazi su quasi tutte le rimanenti importazioni cinesi; il 17 agosto 2019, quando Trump ha rinviato la decisione sui dazi automobilistici; e il 13 dicembre 2019, quando Trump ha annullato i dazi di dicembre in previsione di un accordo con la Cina.

Fonti: Capital Group, Bureau of Labor Statistics, Peterson Institute for International Economics, Standard & Poor's. Il valore dell'ipotetico investimento nell'S&P 500 riflette il rendimento complessivo dell'indice nel periodo dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2025. I risultati passati non sono indicativi della performance futura. Dati al 5 marzo 2025.

Col senno di poi, l'impatto sull'inflazione è stato contenuto nel complesso, con l'indice annuale dei prezzi al consumo che è oscillato tra l'1,50% e il 2,85% nel 2018 e 2019. L'indice  S&P500 è sceso nel 2018, ma ha registrato un forte rialzo nel 2019, in entrambi gli anni trainato da fattori diversi dai dazi.

Il mondo è cambiato da quella prima serie di dazi. Gli effetti della pandemia, delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente e il più grande shock inflazionistico degli ultimi decenni continuano a propagarsi nell'economia. L'impatto dei dazi e dei tagli alla spesa federale sulla crescita è ancora più incerto, data la natura mutevole delle politiche di Trump.

La lezione potrebbe essere che in tempi come questi è importante essere chiari su ciò che si sa e non si sa, riconoscendo che i dazi sono solo una parte dell'equazione. Per raggiungere obiettivi di investimento a lungo termine diventa ancora più essenziale concentrarsi su principi di investimento come la diversificazione e rimanere investiti a fronte della volatilità del mercato.

Per maggiori informazioni consulta il sito di Capital Group.


Jared Franz è un economista con 19 anni di esperienza nel campo degli investimenti (al 31/12/2024). Ha conseguito un dottorato in economia presso l’Università dell’Illinois a Chicago e una laurea in matematica presso la Northwestern University.

Robert Lind è un economista con 37 anni di esperienza nel campo degli investimenti (al 31/12/2024). Ha conseguito una laurea in filosofia, politica ed economia presso la Oxford University.

Da Capital International Management Company SARL .