Investimenti ESG e Performance: Evidenze dal mercato Azionario europeo

Pubblicato il 30/03/2022 - Prof. Davide Maspero e Lucia Znasikova
Un estratto di una tesi di laurea dal titolo “The effect of ESG investing on portfolio performance: evidence from the European market”, scritta dalla Dott.ssa Lucia Znasikova, sotto la supervisione del Chi.mo Prof. Davide Maspero, titolare del corso di Asset Management presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano

 

Un numero crescente di gestori nel corso degli ultimi anni ha integrato criteri ESG nella costruzione dei propri portafogli azionari. Il volume delle attività finanziarie gestite professionalmente e classificabili come sostenibili ha superato i 35 trilioni di USD.

A questo incremento hanno contribuito non solo la crescente consapevolezza di gestori e investitori riguardo all’importanza del tema della sostenibilità, ma anche importanti sviluppi regolamentari e di vigilanza, tra cui in ambito europeo la EU Sustainable Finance and Disclosure Regulation (SFDR).

Una domanda chiave che però è lecito porsi è la seguente: in che modo l’adesione a princìpi ESG può impattare la performance finanziaria degli investimenti azionari? Scelte di investimento coscienziose a livello ESG comportano un costo in termini di rendimento atteso?

 

Su questo tema è possibile formulare tre ipotesi alternative:

  1. Doing good while doing well”. Secondo questa ipotesi l’adesione a princìpi ESG nelle scelte di investimento può portare a benefìci finanziari. Le aziende con profili ESG di elevata qualità possono infatti evitare rischi nascosti; inoltre secondo questa ipotesi il mercato non avrebbe ancora stimato correttamente la portata di questi benefici, e il processo di comprensione degli stessi sarebbe destinato a generare nel tempo una forte domanda per le attività con migliore profilo ESG, con importanti ricadute sul prezzo dei titoli;
  2. Doing good but not well”. Secondo questa ipotesi invece l’adozione di criteri ESG impedisce di ottenere un’allocazione ottimale a causa dei vincoli che impone. Inoltre le cosiddette “sin stocks”, vale a dire le azioni delle aziende trascurate dagli investitori ESG, potrebbero beneficiare di rendimenti elevati ed anomali a causa del rischio che comportano;
  3. Nessun effetto” Un’ultima ipotesi è che in realtà i costi e i benefici dell’implementazione di una strategia di investimento ESG si compensino, così che le strategie ESG non hanno alcun impatto sulla performance finanziaria.

Per comprendere quale delle tre ipotesi sia più conforme alla realtà empirica è utile ricordare come la letteratura accademica sul tema offra risultati controversi; inoltre, molti degli articoli sul tema sono basati su dati ormai obsoleti, anche considerando la rapida evoluzione del settore ESG negli ultimi anni.

La tesi si concentra sul mercato Europeo, considerando le aziende include nell’indice Stoxx Europe 600 nel periodo 2010-2020. Per tenere conto dell’impatto del COVID sui risultati sono stati considerati sia il periodo complessivo 2010-2020 sia il sottoperiodo 2010-2019.

La misura di qualità ESG delle singole azioni utilizzata nella tesi è lo score ESG Refinitiv, basato su oltre 500 indicatori per ogni azienda, aggiornato ogni anno ed espresso come punteggio tra 0 e 100. Il rating è risultato disponibile per 829 delle 940 aziende che hanno popolato l’indice nel corso degli 11 anni analizzati; il numerò è maggiore di 600 perché a composizione dell’indice cambia periodicamente.

La ricerca analizza due portafogli principali: un portafoglio con rating alto, in cui è inserito il 30% di azioni con migliore score ESG, e un portafoglio con rating basso in cui è inserito il 30% di azioni con peggiore score ESG.

La tabella 1 riporta alcune statistiche descrittive per i rendimenti mensili dei due portafogli analizzati.

 

Tabella 1 – Statistiche descrittive dei due portafogli analizzati

 

La tabella riporta il rendimento medio mensile, la volatilità mensile, l’indice di Sharpe e i rendimenti mensili minimo e massimo nei periodi considerati. Questa tabella sembrerebbe dare ragione ai sostenitori del “doing good but not well”.

Il portafoglio delle peggiori azioni in termini ESG infatti ha una performance media mensile superiore, una volatilità mensile inferiore e di conseguenza uno Sharpe ratio migliore rispetto al portafoglio costituito dalle migliori azioni in termini ESG.

Sebbene interessante, questa conclusione trascura un’importante circostanza: e cioè che i due portafogli ESG costruiti non sono equivalenti in termini di esposizione fattoriale. Questo vuol dire, ad esempio, che il beta dei portafogli, la dimensione media delle azioni, la caratterizzazione Value vs Growth dei portafogli e il fattore Momentum delle azioni incluse possono essere diversi.

Trascurare questa circostanza può portare all’”illusione ottica” di attribuire al fattore ESG meriti (o in questo caso demeriti) che sono semplicemente figli della diversa esposizione fattoriale dei portafogli stessi.

Un esempio può chiarire il concetto. Immaginiamo che il portafoglio con basso score ESG abbia un beta significativamente superiore al portafoglio con alto score ESG. In un periodo come quello considerato, caratterizzato da rendimenti di mercato medi positivi, il portafoglio a basso score ESG tenderà a sovraperformare quello a alto score ESG a parità di altre condizioni per via di questa esposizione al rischio sistematico.

Analogo discorso vale ovviamente per tutti gli altri fattori che si scelga di considerare nell’analisi.  Nel caso di specie sono stati utilizzati tre diversi modelli fattoriali: il modello Fama-French a 3 fattori, il modello Fama-French a 5 fattori e il modello di Carhart a 4 fattori, che nel mondo accademico è probabilmente il più utilizzato per questo tipo di analisi. Il modello di Carhart a 4 fattori è equivalente al modello di Fama-French a 3 fattori con l’aggiunta del fattore Momentum.

Per ragioni di semplicità ci concentreremo quindi solo su quest’ultimo modello, analizzandone i risultati che sono riportati nella tabella seguente

 

Tabella 2 – Risultati del modello di Carhart

 

La tabella riporta i risultati dell’analisi statistica di regressione dei due portafogli analizzati secondo il modello di Carhart. I fattori considerati sono:

  1. Il rendimento dell’indice al netto del tasso risk-free (colonna Rm - Rf);
  2. Il fattore legato alla dimensione delle società incluse nel portafoglio (colonna SMB);
  3. Il fattore legato alla natura Growth/Value delle società incluse nel portafoglio (colonna HML);
  4. Il fattore legato al Momentum del portafoglio (colonna MOM).

Questo valore indica il rendimento annualizzato non spiegato una volta che i fattori sono stati considerati è il cosiddetto Alpha della regressione ed è riportato nella prima colonna. Questo valore indica il rendimento non spiegato dai fattori considerati e quindi attribuibile, almeno in prima approssimazione, alle caratteristiche ESG dei due portafogli. Nella tabella è riportato anche un indicatore della capacità del modello di regressione di spiegare la variabilità dei rendimenti dei portafogli, indicato come Adjusted R2. L’indicatore può assumere valori compresi tra 0 e 1 (0% e 100%). Maggiore il valore, maggiore la capacità del modello di spiegare la dinamica dei rendimenti.

La tabella riporta anche i risultati relativi al portafoglio differenziale, vale a dire il portafoglio long-short costruito investendo nel portafoglio con alto rating ESG finanziato andando corti sul portafoglio a basso rating ESG. Infine, la tabella riporta anche la significatività statistica dei coefficienti trovati. Tre asterischi indicano che i coefficienti sono significativi all’1% (cioè molto significativi), due asterischi al 5% e un asterisco al 10%. In assenza di asterischi i coefficienti non sono statisticamente significativi.

Questa tabella presenta una realtà molto diversa da quella della Tabella 1. Se infatti guardiamo ai valori di alpha (cioè la componente non spiegata dai fattori) notiamo che i portafogli con rating ESG elevato presentano un extra rendimento positivo statisticamente significativo e maggiore di quello dei portafogli a basso rating ESG, che peraltro non è statisticamente significativo. L’inclusione nell’analisi del 2020, vale a dire dell’anno caratterizzato dalla pandemia COVID, aumenta questo extrarendimento.

Gli insegnamenti che possiamo trarre dal raffronto delle due tabelle sono diversi.

Il primo insegnamento, se vogliamo un po’ provocatorio, è che l’analisi riportata può accontentare sia i sostenitori del “doing good while doing well” che quelli del “doing good but not well”. Questi ultimi potranno concentrarsi sui rendimenti “grezzi” della Tabella 1 mentre i primi potranno concentrarsi sui rendimenti “corretti” della Tabella 2. Entrambe le opinioni hanno quindi una validità empirica, a patto di definire correttamente le scelte di metodo adottate.

Un secondo insegnamento è che le scelte in termini di qualità ESG comportano inevitabilmente delle conseguenze in termini di esposizione fattoriale. In ciò non vi è nulla di strano o di male, a patto di esserne consapevoli.

Il terzo è che un gestore che vuole valorizzare le proprie scelte ESG deve monitorare con attenzione le implicazioni in termini di esposizione fattoriale, per non vanificare su questo fronte quanto ottenuto in termini di Alpha grazie alle scelte ESG. Guardando ancora una volta la Tabella 2, mentre le esposizioni dei due portafogli al fattore mercato è comparabili, quelle ai fattori SMB e HML sono marcatamente diverse. E’ sul contributo di questi fattori che dovrebbe quindi prevalentemente concentrarsi l’attenzione dei gestori.

L’ultimo insegnamento, che ha natura più generale, è che su temi complessi come quello della capacità di fattori come quello ESG di generare extrarendimenti occorre rifuggire da conclusioni banali e semplicistiche, quando non addirittura “ideologiche”, che non rendono conto della complessità della realtà.

Da Prof. Davide Maspero e Lucia Znasikova - Università Commerciale Luigi Bocconi.