Finanza comportamentale: il ruolo dell'approccio euristico nel processo decisionale

Pubblicato il 06/06/2016 -
La teoria economica classica si basa sul presupposto che gli agenti economici siano esseri perfettamente razionali, spesso, però, si riscontrano anomalie nei comportamenti degli investitori. L'economia comportamentale ne indaga le ragioni.

La teoria economica classica si basa sul presupposto che gli agenti economici siano esseri perfettamente razionali, che compiano le proprie scelte (in questo caso in materia di investimenti) seguendo il principio della massimizzazione della propria utilità.

Spesso, però, si riscontrano anomalie nei comportamenti degli investitori, che evidenziano come l’uomo violi di frequente le ipotesi di razionalità e massimizzazione del benessere che stanno alla base della teoria classica.

Le conseguenze economiche di questi comportamenti sono oggetto di studio da parte di una teoria economica di recente sviluppo (la sua nascita viene fatta coincidere con i lavori di Kahneman, Tversky e Thaler negli anni settanta): l'economia comportamentale, disciplina che riunisce il lavoro di economisti e psicologi allo scopo di dare delle spiegazioni ai motivi di tali comportamenti. 

In particolare, l'oggetto di questo articolo è una branca dell’economia comportamentale: la finanza comportamentale.

Gli operatori economici, spesso, utilizzano un approccio euristico per la raccolta delle informazioni necessarie per effettuare le proprie scelte. Si tratta di un approccio poco rigoroso, a carattere intuitivo, che consente di prevedere o rendere plausibile un risultato. L'euristica permette all’investitore di semplificare le decisioni in contesti di incertezza, ma, allo stesso tempo, può generare degli errori sistematici e significativi, che alterano il processo. Euristica è quindi sinonimo di intuizione; gli investitori utilizzano la realtà circostante per determinare delle regole “nuove”, che possono generare risultati positivi ma anche portare ad esiti disastrosi.

La finanza comportamentale afferma che esistono tre principali euristiche: la “Rappresentatività”, la “Disponibilità” e l’” Ancoraggio”. La fase di raccolta delle informazioni viene spesso eseguita sulla base dell’euristica della Disponibilità, mentre quelle di Rappresentatività e Ancoraggio guidano la loro elaborazione. 

Passiamo a spiegare questi diversi concetti.

L’euristica della Disponibilità si riferisce al fatto che gli individui, quando raccolgono le informazioni necessarie per compiere le loro scelte, tendono ad attribuire una probabilità maggiore a quelle che sono più numerose e più facilmente rintracciabili nella loro mente. Anche se questo modello cognitivo porta a volte a compiere scelte corrette, può essere generatore di errori, in quanto la disponibilità di un’informazione è influenzata da fattori che non sono legati solo all’effettiva frequenza con cui si verifica un evento. Un esempio è costituito dall’informazione che si ottiene dai mezzi di comunicazione: poiché essi tendono a dare un’enfasi maggiore a certe cose piuttosto che ad altre, un individuo può ritenere un evento più probabile di un altro solamente perché ne ha sentito parlare/discutere più volte al telegiornale o alla radio, o letto molto spesso sui giornali. In conclusione l'oggettiva frequenza di un determinato evento viene falsata dalla familiarità e dalla notorietà, ma anche dalla facilità con la quale si riescono a ricostruire gli eventi stessi.

La Rappresentatività è un’euristica che gli individui applicano quando si elaborano le informazioni durante il processo di scelta. Indica la tendenza dell’individuo a formulare giudizi di probabilità ricorrendo a stereotipi e a situazioni familiari.

La probabilità che l’agente economico attribuisce ad un determinato evento dipende da quanto quell’evento è “rappresentativo” di una certa classe di fenomeni. Uno degli errori più comuni che può essere generato da tale euristica deriva dal fatto che gli individui non tengono conto della frequenza oggettiva e osservabile di un fenomeno e dell’ampiezza del campione, ovvero l’inferenza che deriva dalla rappresentatività tende ad essere poco sensibile alle informazioni oggettive. Altro errore generato è il cosiddetto “errore dell’unione”: l’individuo tende a sovrastimare, dati due eventi, la probabilità di quello congiunto. Ciò è una evidente violazione delle leggi matematiche, secondo le quali la probabilità congiunta di due eventi è sempre inferiore rispetto a quella di ciascun evento preso individualmente. Facendo diretto riferimento ai mercati finanziari, si riscontra il winner-loser effect: gli investitori apprezzano più del dovuto (e quindi risultano essere più ottimisti) quei titoli che stanno ottenendo delle ottime performance rispetto a quelli che hanno realizzato risultati più contenuti.

Un’altra errata tendenza è quella di giungere a decisioni basate sulla legge dei grandi numeri anche quando il campione in esame è di ridotte dimensioni, interpretandola nella maniera errata. Può risultare utile un esempio esplicativo di ciò che viene definito errore del giocatore d’azzardo: si supponga che una moneta venga lanciata per 5 volte e che abbia mostrato tutte le volte testa. Al sesto lancio, nonostante la probabilità che la moneta mostri croce sia sempre del 50%, molti scommettitori affermano che è più probabile l’uscita di croce, poiché ritengono che la distribuzione tra testa e croce inizi a diventare equa. Ma tale ragionamento è sbagliato, perché la legge dei grandi numeri è valida solamente quando il campione osservato è di dimensioni notevoli. 

Oltre agli errori sopracitati, l’euristica della rappresentatività genera una serie di atteggiamenti/comportamenti che influenzano negativamente il processo decisionale. Tra i più rilevanti, l'overconfidence e la convinzione di essere dotati di abilità superiori alla media. Il primo consiste nel sovrastimare le proprie capacità riguardanti il processo decisionale; gli individui tendono a ritenere di aver fatto quasi sempre la scelta giusta, specialmente dopo aver compiuto delle scelte rivelatesi poi corrette (ad esempio, l'acquisto di un titolo azionario il cui prezzo è salito successivamente molto), assumendo eccessiva fiducia in se stessi. Il secondo invece si riferisce alla convinzione di giudicare le proprie azioni in grado di modificare e influenzare eventi che, nella realtà dei fatti, sono totalmente indipendenti da esse. L’investitore ha l’illusione del controllo e crede di essere in grado di battere il mercato.  Ad esempio, un investitore che acquista in maniera abbastanza casuale un titolo che batte il mercato, può convincersi erroneamente di essere dotato di abilità magiche e premonitorie, piuttosto che ritenere la situazione semplicemente dipendente dalla fortuna.

L'Ancoraggio, infine, identifica la consuetudine degli agenti economici ad “aggrapparsi” ad una informazione ritenuta particolarmente significativa o ad una ipotesi iniziale forte, che agiscono da vera e propria ancora. Il punto di partenza trattiene presso di sé tutte le valutazioni successive, generando fenomeni di underreaction a notizie e fatti nuovi, con naturale conseguenza che l'idea iniziale, anche se sbagliata, difficilmente sarà rivista. L’ancoraggio può derivare dal valore che ha assunto in passato un certo fenomeno, dal modo in cui è stato presentato il problema o da un’informazione casuale. A prescindere dalla fonte, il punto di partenza è poi rivisto per prendere la decisione finale, ma generalmente le revisioni sono insufficienti e la scelta è sbilanciata verso l'ipotesi iniziale.

Nella realtà le regole euristiche sopradescritte tendono a convivere; in alcuni casi gli errori generati da una certa distorsione cognitiva possono bilanciarsi con quelli generati da un’altra; ma in molti casi la contemporanea presenza di disponibilità, rappresentatività e ancoraggio amplifica la distorsione generando errori particolarmente consistenti.

Secondo la finanza comportamentale non ci sono solo errori che alterano il processo decisionale, ma anche errori che influenzano la valutazione ex post delle conseguenze di una decisione. Ad esempio il confirmation bias, ossia la tendenza degli agenti economici, dopo aver effettuato una scelta, a cercare evidenza della bontà della propria decisione, ignorando, per contro, l’importanza di quelle informazioni che conducono a conclusioni opposte. Un altro esempio è il “senno di poi”, che corrisponde all’analisi retrospettiva degli eventi che porta a sovrastimare la possibilità di previsione degli stessi. Nel processo decisionale gioca un ruolo fondamentale anche la sfera emotiva dell’investitore. La sensazione del rimpianto (nel gergo della disciplina regret) può condurre ad una situazione di stallo: gli individui, in procinto di effettuare una scelta, preferiscono non farla al fine di evitare il dispiacere di dover recriminare sulle conseguenze di una decisione rivelatasi successivamente sbagliata. Appartiene alla sfera emotiva anche l’attribution bias, che consiste nella ricerca di un fattore esterno sul quale far ricadere la responsabilità della decisone sbagliata. Il caso più evidente è quando l’investitore accusa il proprio consulente nel momento in cui il rendimento del suo portafoglio non è quello che si aspettava.

Sebbene oggi l'economia comportamentale non abbia ancora riscontrato il parere favorevole della maggioranza degli economisti, va tenuta comunque in considerazione; una maggiore consapevolezza dei propri limiti cognitivi e degli effetti che produce l'emotività sulle scelte finanziarie aiuterebbe senz'altro gli investitori nel seguire un processo decisionale più efficiente e dettato il più possibile dalla razionalità. 

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